Il clima se ne va

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Guardo il termometro posto fuori dalla finestra, -6 gradi! Una mattina  da brividi. Guardo lontano verso la campagna  stretta nella morsa del gelo e mi metto a giocare con i miei pensieri. Chissà com’era questo posto nel 1775, all’alba della rivoluzione industriale? Forse c’era una fitta macchia mediterranea, animali selvatici e qualche sperduto viandante in cammino verso la città. E chissà come sarà questo posto tra 100 anni?  Difficile da dire...molti scienziati pensano che l’Italia (e non solo) rischia di diventare, nel giro di un secolo, praticamente un deserto. Colpa dei cambiamenti climatici, dell’aumento delle temperature medie, che sembra accelerare inarrestabile, come un’auto che precipita in un burrone. Di recente il responsabile dell'Onu per i rifugiati, Antonio Gutierres ha detto che  "Quasi tutti i modelli che considerano gli effetti a lungo termine dei cambiamenti climatici prevedono una continua desertificazione, al punto da annullare prospettive di vita in molte parti del mondo". Ma da che dipendono questi cambiamenti? Molti dicono che la colpa sia delle emissioni di CO2. La concentrazione di CO2 nell’aria era di 280 ppm (parti per milione) nel 1775, mentre oggi è di 379 ppm. E cresce vorticosamente: negli ultimi 40 anni è aumentata di 1,4 ppm all’anno; negli ultimi dieci ha accelerato ancora, crescendo di 1,9 ppm all’anno. Non so se l’aumento delle temperature dipenda solo dalla CO2 emessa dalle nostre auto, dalle nostre fabbriche, dai nostri riscaldamenti. Ma so che la distruzione degli habitat, l’uso invasivo del suolo, l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, l’urbanizzazione selvaggia, l’inquinamento non fanno bene alla terra in cui mi è capitato di vivere, in cui sono vissuti i miei antenati e in cui dovrebbero vivere i miei figli e nipoti. Penso che se qualcuno entrasse in questa mia casa che ora sonnecchia in questa luminosa mattina, e cominciasse a imbrattare le mura, a rompere gli oggetti, a cambiare la disposizione dei mobili, non sarei tanto contento. E’ casa mia, in fondo. E l’inquinamento delle falde acquifere, le emissioni di CO2 dalle parti di Calcutta, o a Sidney? Mi riguardano o sono cose lontane? Anche questo non lo so, ma penso ai disastri provocati dagli uragani; oppure a quando, bambino, non potevo mangiare la frutta e la verdura perché in un posto lontano, Cernobyl, c’era stato un incidente nucleare, e penso che in fondo il mondo non è poi così grande come a volte può sembrare. Sì, ma io che posso fare? Devo rinunciare alle mie comodità, oppure pagare un sacco di soldi per salvaguardare la natura, l’ambiente, ammesso che sia vero tutto quello che dicono. Perché ora tutto sommato, mi sembra che questo inquinamento non mi costi poi molto, anche se la Banca Mondiale e l’Ufficio Geologico degli Stati Uniti stimano che le perdite economiche globali dovute ai disastri naturali negli anni 2000 sono state di 380 miliardi di dollari (spesi, attraverso le tasse, dai vari governi) mentre sarebbero bastati 40 miliardi di dollari per evitarli se si fosse investito in misure di prevenzione. E che la salute degli animali, e degli uomini, è spesso minacciata dalle conseguenze dell'inquinamento. E, dicono, la miglior prevenzione sembra sia proprio la tutela dei sistemi naturali. Salvare il salvabile. Nel frattempo, tanta gente sarà nata, e tanta purtroppo sarà morta in questo pianeta, tutto sommato non immenso. Il chiarore s’è fatto più forte. Respiro, a pieni polmoni l’aria fredda del mattino. Guardo lontano cercando inutilmente una risposta, abbiamo ancora tempo?

D.V.

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