Bombe chimiche

08:32 Posted In Edit This 0 Comments »
Sono passati oltre 60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, eppure in giro per l’Italia ci sono ancora migliaia di bombe chimiche pronte ad esplodere, senza che un’attività di bonifica sia stata attuata. E’ questa la denuncia che arriva oggi da Legambiente, annunciando la conferenza per la presentazione di un dossier in merito che avverrà a Roma domani, in cui si fa il punto della situazione di questa che potrebbe diventare la tomba per l’ambiente italiano. Secondo le rilevazioni dell’associazione ambientalista infatti, non si tratta di poche decine di bombe, ma di decine di migliaia quelle che vengono rilevate ma non eliminate nel nostro territorio. La situazione peggiore è quella dell’Adriatico, in cui il numero di bombe dalla Guerra Mondiale in poi è aumentato a causa delle varie guerre che si sono tenute nei Balcani, come quella del Kosovo, e che ha comportato il rilascio di ordigni per un totale di 30 mila circa lungo le coste pugliesi e non solo, con il porto di Molfetta che da solo ne conta almeno diecimila. Ma non solo. Nelle acque al largo di Pesaro ci sono 4.300 bombe gettate volontariamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale per non farle conquistare dai tedeschi, ed oltre 1.300 tonnellate di iprite; il Golfo di Napoli è diventato una sorta di deposito per lo smaltimento di armi chimiche, in particolare residui della base americana di Aversa. Ma poi ci sono anche delle bombe che non sono ordigni veri e propri, ma pericoli ambientali correlati che però possono essere pericolosi quanto le bombe. E sono quelli vicino a Viterbo e Frosinone, ad esempio, riconosciuti in questi ultimi anni come depositi di scarti e materiali pericolosi che necessitano di bonifica, ma che sono ancora lì senza che nemmeno un grammo sia eliminato. L’Italia sembra una polveriera pronta ad esplodere, e dire che sul nostro territorio non si combatte una guerra da quasi un secolo.

Fonte (Repubblica)
D.V.

Tantalio

07:56 Posted In Edit This 0 Comments »
In occasione delle vacanze di fine anno ci siamo accorti che il calo degli acquisti degli italiani ha riguardato tutti i generi di prodotti, salvo uno: i telefonini. Per rendere sempre più piccoli e appetibili questi campioni dell’industria elettronica occorrono componenti miniaturizzate che usano metalli con particolarità peculiari, quali Nikel, Palladio e Tantalio. Per la realizzazione dei microcondensatori interni ad alta capacità non si può più fare affidamento sulla ceramica, e bisogno ricorrere a materiali più duttili e ancora più resistenti alle temperature e alle frequenze come appunto il Tantalio, il cui prezzo è salito alle stelle a causa della domanda mondiale da parte della telefonia mobile. Questo metallo raro, durissimo e denso, resistente agli acidi, ottimo conduttore e con un punto di fusione elevatissimo si estrae da uno speciale tipo di sabbia scura, debolmente radioattiva, detta “Coltan” (da Colombine e Tantalite) i due minerali che la compongono. L’affare del Tantalio a questo punto si complica, perché le riserve si trovano in Brasile, in Australia e in Africa, in particolare in Monzambico e nella repubblica popolare del Congo. Qui sono spuntate miniere che sembrano gironi dell’inferno, dove migliaia di di lavoratori la maggior parte bambini guadagnano qualche dollaro e si ammazzano di fatica scavando a mani nude per arricchire una manciata di sfruttatori monopolisti. Secondo i rapporti dell’ONU degli ultimi dieci anni, migliaia di tonnellate di Coltan lasciano illegalmente il paese ogni anno, insieme a diamanti, oro, colbalto e altre materie prime preziosissime. Tra gli innumerevoli e incalcolabili danni di questo commercio famelico (che si può contrastare anche riciclando il proprio cellulare) ce ne sono alcuni altamente distruttivi. In quelle aree dell’Africa equatoriale si trovano riserve naturali e parchi nazionali di inestimabile valore che sono deturpati e violentati dagli impianti di estrazione e dalle masse di disperati che da essi dipendono. Questi patrimoni dell’umanità sono gli ultimi luoghi al mondo dove si possono ancora trovare (tra le mille altre specie in pericolo) i gorilla orientali, tra i quali i gorilla di montagna il cui numero è diminuito paurosamente. In attesa di scoprire se i telefonini facciano o no  male alla salute umana, sappiamo con certezza che a quella dell’ambiente e della natura fanno malissimo. Potremo vivere senza tante cose in futuro ma non vivremo senza questo pianeta. A chi telefoneremo quando attorno a noi ci sarà solo silenzio.

Fonte ( Le Scienses)
D.V.

Uribu

10:34 Posted In Edit This 0 Comments »
Questa volta c'è qualche cosa in più delle solite "parole" al vento, Aribu potrebbe essere veramente una freccia in più nell'arco di chi ama l'ambiente e la natura, amici del GVA.

Quante volte vi siete detti: “Che ci vuoi fare, tanto in Italia va sempre così”? D’ora in avanti non ci sarà più bisogno di indignarsi restando con le mani in mano, ma si potrà fare qualcosa di più: denunciare. Non alle autorità competenti, ma sulla rete. Nasce infatti Uribu, una piattaforma web accessibile a tutti e che presto arriverà anche su smartphone in cui poter segnalare disservizi e soprusi, ma anche ad esempio episodi di inquinamento e distruzione dell’ambiente a cui avete assistito e volete rendere noti a tutto il mondo. Ideato da cinque ragazzi tra i 17 e i 23 anni, Uribu ha come simbolo una civetta appollaiata su di un ramo con gli occhi spalancati per controllare bene cosa avviene sotto di sé. Ed infatti Uribu è la traduzione “fantasiosa” di “hibou” che significa appunto civetta in francese. Ma di preciso di cosa si tratta? Come una sorta di grande bacheca aperta a tutti, la piattaforma è accessibile al sito ufficiale di Uribu. Cliccando sull’apposito tastino con la scritta “segnala” si viene rimandati in un form da compilare con la nostra denuncia da registrare sotto un’apposita categoria, e persino segnalare, tramite Google Maps, dove questo episodio è accaduto, in modo da avvisare le altre persone che si trovano in zona. Completano la denuncia anche eventuali immagini, foto e video che l’utente sarà libero di caricare, in modo che tutti, anche coloro che si trovano dall’altra parte del mondo, possano osservare con i propri occhi tutto ciò che non va ed eventualmente essere parte della soluzione e non vittime del problema. Ad esempio se venite a sapere che vicino casa vostra c’è un deposito di amianto abbandonato, basta scattare qualche foto, caricarla su Uribu, scrivere di cosa si tratta e segnalare la presenza su Google Maps, e state sicuri che immediatamente questa diventerà da discarica nascosta a scandalo nazionale. Uribu funzionerà da passaparola, in modo che sempre più utenti potranno condividere le proprie esperienze come sui comuni social network e tentare così di risolvere alcuni dei tanti drammi che affliggono il nostro Paese. Come dimostrano Striscia la Notizia o le Iene dopotutto, basta accendere i riflettori su un problema, in particolar modo riguardante la pubblica amministrazione, per riuscire a risolverlo. Uribu inoltre metterà a disposizione un account speciale proprio per le pubbliche amministrazioni e le aziende che potranno eventualmente rispondere alle segnalazioni che le vedono chiamate in causa, o effettuare altre denunce a loro volta. Per partecipare basta registrarsi direttamente sul sito di Uribu o tramite un account Facebook collegato che diventerà anche il terreno di confronto, insieme a Twitter, con migliaia di utenti che vorranno condividere le proprie esperienze, e magari dare il proprio contributo per migliorare un Paese che ha tante cose da mettere a posto. Proviamoci chissà che non sia la volta buona!

D.V.

Tasse e inquinamento

08:01 Posted In Edit This 0 Comments »
Dall’inizio di quest’anno qualsiasi aereo che percorra i cieli europei dovrà pagare una tassa. Si tratta di una sorta di eco-tassa che è commisurata in base alle emissioni che quell’aereo produce e che rimangono sopra le nostre teste. Le compagnie aeree europee, mugugnando, hanno accettato; quelle americane hanno prima protestato, ma poi hanno dovuto sottostare. Quelle cinesi no. Il Governo del Paese asiatico ha infatti vietato categoricamente alle proprie compagnie aeree di aderire alla tassa sull’inquinamento europea. Secondo i cinesi infatti questo sovraprezzo, che va a pesare sul costo del biglietto per i passeggeri, è un ostacolo commerciale scorretto, e pertanto non accetta di dover sottostare a quest’imposizione. Ma lo sarebbe se fossero soltanto gli aerei cinesi a doverlo pagare. Invece questa tassa sulle emissioni la pagano tutte le compagnie, e la battaglia cinese è solo di principio. Dunque cosa avviene ora? Gli scenari sono diversi. Il primo, e più immediato, sarà che se le compagni aeree cinesi non pagheranno questa tassa, ogni volta che un loro aereo sbarcherà sul suolo di qualsiasi aeroporto europeo si troveranno a pagare una multa ancora più salata della tassa, che non potrà nemmeno essere girata ai propri passeggeri, ma dovrà essere pagata dalla compagnia direttamente. Il secondo scenario prevede che il Governo cinese, che la prossima settimana incontrerà alcuni leader europei, alla fine protesti ma aderisca. Ma c’è anche la possibilità che le difficoltà economiche europee possano concedere alla Cina una sorta di “proroga”, in cambio di prestiti. Infine c’è anche la possibilità che agli aerei cinesi venga negata l’autorizzazione all’atterraggio in Europa, ma questo sembra di più un provvedimento eccessivo e sicuramente non è gradito da nessuno. Le compagnie cinesi non possono decidere autonomamente di pagare questa tassa perché in Cina tutto è sotto il controllo del Governo che decide persino le tariffe. Ogni compagnia infatti ha una tariffa fissa da rispettare e senza l’autorizzazione “dall’alto” non può modificarla, dunque figuriamoci pagare una tassa ad una potenza straniera. Come sempre amici dell'ambiente ognuno valuta a modo suo il danno globale che arreca a questo pianeta, temo che presto se non cambieremo rotta ogni nazione dovrà guardare ben più in la del proprio naso se vorremo sopravvivere.

D.V.

Trivelle a go go

01:01 Posted In Edit This 0 Comments »
Succedono cose strane in questa nazione, amici dell'ambiente, e una delle nuove anomalie ce la segnala ancora una volta il WWF.
Non è la prima volta che Wwf segnala il mare di trivelle che degrada il nostro Paese ma questa volta il dossier denuncia anche una mancata deliberalizzazione in merito. Il governo Monti avrebbe salvato in extremis l’Italia cancellando degli articoli previsti per liberalizzare la ricerca di petrolio e di gas su territorio nazionale. Il rapporto di Wwf parte da un presupposto molto semplice e chiaro.  In Italia gli esperti sono concordi nell’affermare che di petrolio ce n’è poco, e di scarsa qualità; localizzato nei pressi della costa in aree marine protette o contesti urbanizzati, dunque.  Non dovrebbero esserci appetiti delle compagnie petrolifere. Eppure assistiamo a un progressivo saccheggio di oro nero e gas. Un’aggressione al territorio che avviene nell’indifferenza della politica e che rischia di depotenziare le notre armi migliori: il turismo da un lato, e dall’altro il patrimonio artistico per cui siamo famosi.  Temiamo per le sorti dei grandi vertebrati come i delfini e i cetacei che potrebbero essere seriamente minacciati dal forte impatto inquinante dell’attività antropica, con danni sugli esseri viventi di carattere teratogeno, mutageno e cancerogeno. Si legge nel dossier che in Italia sono stati estratti nel 2010 8 miliardi di metri cubi di gas e 5 milioni di tonnellate di petrolio, che in percentuale fanno appena lo 0,1% della produzione complessiva. Ci si chiede perché allora il nostro Paese sia tanto appetibile per le compagnie petrolifere, visto che di petrolio difatti non ve ne è? La risposta viene fornita da Maria Rita D’Orsogna, docente di Fisica all’Università di Northridge, in California. Semplice: la legislazione di casa nostra è scandalosa, nel senso che favorisce al massimo le ditte estrattrici, mortificando invece le aree invase da pozzi e piattaforme. Il tutto con seri rischi per la salute e crescente frustrazione dei cittadini, allarmati per lo sfruttamento ma trascurati dalle autorità nazionali. Il decreto legislativo che regola il settore è il 625 del novembre 1996 in cui si legge “niente è dovuto sotto forma di royalty” per estrazioni dalla terraferma fino a 20mila tonnellate di olio greggio e 20 milioni di metri cubi di gas (dal 2010 sono diventati 25 milioni) e per estrazioni sul mare “entro 50mila tonnellate di olio greggio e 50 milioni di gas (80 milioni dopo il 2010). Come potete facilmente immaginare amici miei, qui in Italia è terra di nessuno, qui chi arriva fa i comodi e gli interessi suoi.  Noi siamo ricchi, le risorse noi le regaliamo!
D. V.

Sigarette

06:18 Posted In Edit This 0 Comments »




Le merci non muoiono mai e dopo che sono state usate diventano rifiuti che ritornano nell’ambiente. Questo vale anche per le sigarette: ogni anno nel mondo se ne fumano circa 6mila miliardi; circa 400 miliardi negli Stati Uniti, 100 miliardi l’anno in Italia. Ogni sigaretta pesa circa un grammo e il fumatore, dopo averla fumata, butta via un residuo, una “merce negativa” inquinante, il mozzicone, che pesa circa 0,3 grammi e che è pieno di decine di sostanze dannose.I mozziconi delle sigarette fumate in Italia hanno un peso di circa 20-30mila tonnellate, poche rispetto ai quasi quaranta milioni di tonnellate dei rifiuti urbani, ma moltissime se si pensa al potenziale inquinante di tali mozziconi. I mozziconi sono costituiti in gran parte dal filtro che trattiene una parte dei numerosissimi composti chimici presenti nel fumo; se si osserva il filtro di un mozzicone, si vede che ha assunto un colore bruno, dovuto alle sostanze trattenute, principalmente nicotina e un insieme di composti che rientrano nel nome generico di “catrame”, contenente anche idrocarburi aromatici policiclici altamente cancerogeni; e poi metalli tossici fra cui cadmio, piombo, arsenico e anche il polonio radioattivo che erano originariamente presenti nelle foglie del tabacco. La natura e la concentrazione delle sostanze presenti nei mozziconi dipendono dalla tecnologia di fabbricazione delle sigarette che le industrie modificano continuamente per renderle più gradite ai consumatori; la natura di molti additivi e ingredienti è tenuta gelosamente segreta, il che non facilita la conoscenza e la limitazione dell’effetto inquinante dei mozziconi abbandonati. Il disturbo ambientale dei mozziconi delle sigarette viene anche dall’acetato di cellulosa del filtro, una sostanza che nelle acque si decompone soltanto dopo anni, tanto che alcune società cercano di proporre sigarette con filtri “biodegradabili”, il che farebbe sparire rapidamente alla vista i mozziconi, ma lascerebbe inalterate in circolazione le sostanze tossiche che il filtro contiene. I mozziconi delle sigarette fumate in casa o nei locali chiusi finiscono in genere nella spazzatura, ma quelli delle sigarette fumate all’aperto o in automobile finiscono direttamente nelle strade e quindi nell’ambiente. I fumatori più attenti – si fa per dire – all’ecologia hanno cura di schiacciare con il piede il mozzicone buttato per terra per spegnerlo del tutto ma anche credendo di diminuirne il disturbo ambientale. Avviene esattamente il contrario: il mozzicone spiaccicato spande tutto intorno le fibre del filtro con il loro carico di sostanze dannose e il residuo di tabacco che è ancora attaccato al filtro; tutto questo resta esposto alle piogge e viene trascinato nelle fogne e poi nei depuratori o sul terreno. Rilevanti effetti tossici sono dovuti alla stessa nicotina presente in ragione di circa 0,25 milligrammi per ogni mozzicone;  non meraviglia perché la nicotina è stata usata come antiparassitario proprio per la sua tossicità verso molti organismi viventi.

E’ vero che di gente incivile che getta cartacce per strada o che non puliscono i bisognini dei loro cani c’è n’è a milioni, ma anche quelli che non lo fanno e che additano i tiratori di cartacce come sporcaccioni, il mozzicone di sigaretta invece lo buttano.  Adducono in loro difesa il solito ritornello; "non saranno i mozziconi di sigaretta raccolti, a cancellare l’inquinamento del nostro pianeta" vero,ma è un gesto semplicissimo e di facilissima attuazione che aiuterebbe a rendere un po’ più belli, puliti e vivibili i luoghi comuni.
D. V.

ENI

12:31 Posted In Edit This 0 Comments »




Oggi amici voglio parlarvi della nostra compagnia petrolifera. L'ENI. Come tutti voi avrete avuto modo di vedere, sui vari canali TV questa multinazionale si sta proponendo all'attenzione degli Italiani con spot pubblicitari green dove la stessa è impegnata al rispetto dell'ambiente, del nostro futuro e della nostra qualità di vita in generale. Ma è tutto oro quello che luccica? Dopo la famosa marea nera causata dalla Bp e i tentativi europei di bloccare le trivellazioni nel mediterraneo, considerate troppo pericolose per i danni irreparabili che potrebbero verificarsi in seguito ad un incidente, l’attenzione torna a posarsi su quelle aree africane frammentate da pozzi di estrazione petrolifera, il cui inquinamento è spesso passato in serie B, chissà poi perché.  A ribaltare l’attenzione dell’opinione pubblica ci ha pensato un video che sta girando nel web, nel quale lo spot pubblicitario Eni viene messo a confronto con immagini che ritraggono le condizioni del Delta del Niger.  Il risultato del montaggio è forte, ha il suo impatto, anche un po’ inquietante, se lo consentite: gli impianti che negli anni avrebbero dovuto aspirare il greggio e incanalarlo negli appositi container hanno avuto qualche problema, evidentemente, dato che il paesaggio sembra essere stato dipinto con un nuovo, pesante colore: il nero. Sconcertanti  anche i dati riportati dal New York Times. Si calcola che negli ultimi cinquant'anni siano stati riversati nelle acque del Delta del Niger  circa 546milioni di galloni di petrolio (gallone=3,79 litri), secondo una stima del 2009.  Le controversie legate alle responsabilità delle  compagnie petrolifere, tra cui Shell e Eni, sono state affrontate anche dal programma di Milena Gabanelli (Report), oltre ad essere state oggetto di denunce e processi, quasi sempre evitati. Ma non è questa la sede per discutere sulla responsabilità di questi soggetti amici del GVA. Certo è che i territori in questione si ritrovano estremamente contaminati, le popolazioni che vi vivono sono costrette a servirsi di acqua e terreni inquinati. La vita in quei luoghi è al limite dell'accettabilità e se il popolo americano avrà un risarcimento per l’esplosione della Bp e avrà la garanzia che le coste del Golfo verranno ripulite, viene da chiedersi se la comunità nigeriana possa contare sullo stesso trattamento. Mentre l'ENI cerca di mostrare la faccia pulita agli Italiani, da altre parti, sotto la stessa egidia si muore. L’onda green avanza, ma forse non arriva proprio nel profondo di tutte le società. Ciò che sappiamo è che mentre Eni trasmette in tv una pubblicità piacevole, che punta sul rispetto e l’internazionalizzazione,  sul web spopola il video con le immagini del Delta del Niger accostate ai propositi dichiarati da Eni e, credetemi, il contrasto è stridente!

“Il Delta del Niger è un nitido esempio di come un governo venga meno agli obblighi nei confronti dei propri cittadini e della totale mancanza di responsabilità di quasi tutte le compagnie multinazionali presenti in Nigeria per l’impatto delle loro attività sui diritti umani”
 Audrey Gaughran, responsabile di Amnesty International.

    D.V.

Delta del Niger

12:08 Posted In Edit This 0 Comments »


Non c'è pace per il Niger, non bastavano le perdite degli impianti petroliferi lungo tutto il Paese che, finendo nei corsi d’acqua, arrivavano fino al delta del Niger. L’ultimo disastro petrolifero è partito direttamente dal mare aperto e, come una calamita, è stato attirato nuovamente dalla foce di uno dei principali fiumi dell’Africa. Il disastro è avvenuto pochi giorni fa quando circa 40 mila barili di petrolio greggio, fuoriusciti da una nave, sono stati scaricati in mare. L’incidente è avvenuto al largo delle coste nigeriane, più precisamente nel Golfo della Guinea, il 20 dicembre scorso. Una “Floating production storage and offtake vessel”, in pratica una piattaforma galleggiante di stoccaggio del carburante, stava scaricando il suo contenuto su una petroliera quando un malfunzionamento ha fatto riversare in mare milioni di litri di oro nero. La piattaforma è di proprietà, tanto per cambiare, della Shell che già con le sue perforazioni sta distruggendo l’intera area ammorbando con il petrolio l’intero delta del Niger come abbiamo già dimostrato altre volte. L'altra società petrolifera presente massicciamente in quella "terrificante" zona è la nostra compagnia di bandiera, l'ENI, "accusata pesantemente da centinaia di associazioni ambientaliste" Secondo i dati forniti dall’associazione ambientalista Environmental Rights Action, almeno fino al momento in cui la perdita è stata ufficialmente arrestata, sono stati 40 mila i barili di petrolio sversati in acqua, ma come giustamente affermano gli ambientalisti, è la Shell ad affermare che il buco è stato chiuso, dunque non c’è da fidarsi completamente di questa notizia. Come non c’è da stare certi che l’azione di 5 navi abbia già disperso la macchia, come dichiarato dalla stessa compagnia petrolifera. I dati dell’associazione inoltre sono stati confermati dalle immagini satellitari che mostrano una macchia nera di 70 km di lunghezza ed un’estensione di 973 chilometri quadrati. Un disastro che mette in ginocchio ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno, l’economia dell’area che è basata per gran parte sulla pesca. Un disastro ambientale che non ha uguali in nessun'altra parte del pianeta e come dicevamo sembra che l'ENI ci sia dentro fino al collo.

D.V.

Cocaina

08:24 Posted In Edit This 0 Comments »



Oggi amici voglio porre alla vostra attenzione un fenomeno completamente nuovo di inquinamento che non mancherà di far discutere. Tracce di varie droghe rilevate dai ricercatori dell’Istituto sull'Inquinamento Atmosferico del CNR nel particolato a Roma e milano: è la prima volta che accade al mondo. Tracce di droghe nell’aria di Roma. Un gruppo di ricerca dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico (Iia) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, guidato dal dr. Angelo Cecinato, ha messo in evidenza, per la prima volta nel mondo, la presenza di cocaina nel particolato sospeso dell'atmosfera delle città. La ricerca si inquadra nel contesto più ampio della valutazione di composti tossici presenti nel materiale particolato ed è stata essenzialmente condotta in tre aree urbane italiane (Roma, Milano e Taranto) e ad Algeri. I risultati hanno evidenziato, oltre alla presenza di cocaina e di sostanze tossiche conosciute (come il benzopirene C20H12, un idrocarburo cancerogeno presente nel fumo di sigaretta, negli scarichi degli autoveicoli e nelle emissioni da combustione), quella di cannabinolo (il principale componente attivo di marijuana e hashish) e altre droghe, anche se meno dannose, come nicotina e caffeina. “Le concentrazioni più elevate di cocaina sono state riscontrate a Milano e nel centro di Roma, specialmente nell'area dell'Università La Sapienza, anche se”, precisa il dr. Cecinato dell’Iia-Cnr, “a causa del limitato numero di misure eseguite non si può dire con certezza che il quartiere universitario sia quello più inquinato da cocaina. Né possiamo affermare tout court che vi siano più diffusi il consumo e/o lo smercio di droghe: le cause di questa concentrazione sono tutte da indagare”. Mentre in gran parte del mondo ancora si muore di fame e di malattie che potrebbero essere debellate con kit da 10 dollari, nella opulenta Europa si consumano tonnellate di droghe. Anche questo fenomeno è indicatore di decadenza, decadenza di valori, di civiltà, di costume. Un inquinamento nuovo che non potrà che crescere visto l'andazzo, presto o tardi respireremo anche noi questa cocaina. Queste rilevazioni sono state effettuate attraverso le centraline che misurano le concentrazioni degli inquinanti, come le polveri sottili e vedono presenze anche di nicotina, cannabinoidi e caffeina. Trento per la cocaina ha concentrazioni di 0,040 nanogrammi (un milliardesimo di grammo) per m cubo d'aria, valori molto distanti dalle grandi citta', come Milano (0,462 ng per m3), Roma (0,140 ng per m3) e Bologna (0,104 ng per m3). Per i cannabinoidi sono stati rilevati a 0,175 ng per m3, valore piu' alto di Bologna (0,146 ng per m3). Per la caffeina ad esempio Venezia e' in coda, con 1,90 ng per m3, rispetto ai 36 ng per m3 di Milano e ai 40 ng per m3 di Bari. Per la nicotina Milano è a 78 ng per m3). Niente di cui stare allegri amici del GVA e siamo solo all'inizio.   

    D. V.

Pneumatici

11:34 Posted In Edit This 0 Comments »

Arriva l'inverno ed ecco l'ennesima ordinanza che obbliga all'uso delle catene o in alternativa le gomme da neve. Quattro gomme nuove sono una bella spesa, devo ammetterlo, però guardo al futuro. Le mie gomme sono già vecchiotte, le cambio e passo l'inverno tranquillo, poi in primavera ci penserò. Fatto. Ora sono a posto con le mie quattro belle gomme nuove e le vecchie?

Centomila tonnellate di pneumatici fuori uso, una quantità certamente non risibile, spariscono nel nulla ogni anno. La colpa non è del mago Silvan amici del GVA, qui la magia non centra nulla, sono fatti ben più terreni. Più che sparire nel nulla questi pneumatici rotolano e rotolando vanno a finire, guarda tu il caso, il qualche campo o in qualche roggia. Sembra che queste gomme ( ma queste sono notizie incontrollate) dopo aver percorso migliaia di chilometri, non riescano più a fermarsi e nottetempo abbandonano i depositi e se vanno in giro da sole a formare piccole discariche. Stupefacente amici del GVA, chi l'avrebbe mai detto. Questi sono gli sconfortanti dati raccolti nel dossier realizzato da Legambiente con la collaborazione di Ecopneus. In Italia, stando al rapporto, sono state individuate, a partire dal 2007, 1.049 discariche illegali estese su un territorio complessivo di oltre sei milioni di metri quadrati. Sul banco degli imputati, per quanto riguarda i grandi traffici, la criminalità organizzata, tanto che la concentrazione maggiore (il 63%) di siti di smaltimento abusivi si localizza, non a caso, in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Complici, ammettiamolo, anche i nostri lumbard che si fanno allettare da risparmi consistenti per smaltimenti in "nero". Comunque la maglia nera va alla Puglia, che ha all’attivo 230 siti di PFU, quasi il 22% del totale nazionale. Seguono la Calabria con 159 siti, la Sicilia con 141, e la Campania a quota 131. Al Centro è la Regione Lazio ad avere la peggio con ben 77 siti, mentre al Nord il triste primato è del Piemonte con 37 sequestri di discariche abusive di PFU. Non mancano illegalità al di fuori delle ecomafie perpetrate da piccoli operatori quali gommisti, officine, trasportatori, che creano piccole discariche per risparmiare sui costi di smaltimento. Altri dati che emergono dal dossier riguardano le perdite economiche dello Stato, quantificate, per questa tipologia di rifiuti, in 743,2 milioni di euro l’anno. Questi soldi sono a carico dei contribuenti come i costi di bonifica delle discariche abusive amici del GVA. Il danno economico complessivo (dell'ultimo triennio) si attesta ad oltre 2 miliardi di euro, con forti ripercussioni sia sulle casse dello Stato che sugli operatori del settore che lavorano nella legalità. Senza contare i danni al paesaggio ed i gravi rischi per l’ambiente, specie in caso di incendio. Per fortuna qualche cosa si sta muovendo: L’ambiente può tirare un sospiro di sollievo: nel 2012 si prevede che 47.997 tonnellate di pneumatici saranno ricostruiti e non finiranno in discarica. Il loro riciclo comporterà un risparmio di 45.544 tonnellate di materie prime, 114 milioni di litri di petrolio ed equivalenti, e 222 milioni di euro. Per la produzione di uno pneumatico per automobile occorrono circa 35 litri di petrolio, mentre per uno pneumatico industriale ne servono almeno 100 litri, se i pneumatici usati ma ancora integri nella struttura venissero ricostruiti, zero litri.

D. V.

Inquinamento da "banche"

10:39 Posted In Edit This 0 Comments »

Oggi amici del GVA vogliamo parlarvi di un nuovo tipo di inquinamento, uno dei peggiori a mio medesto avviso. Un inquinamento subdolo che agisce sotto traccia, alla chetichella, lontano dai nostri occhi e sopratutto dalle nostre menti. Vorrei chiamarlo, se mi consentite, inquinamento bancario.Non solo le banche sono per gran parte responsabili di questa crisi economica che non ha mai fine, ma hanno il loro zampino anche quando si parla di ambiente. E non stiamo parlando delle emissioni, che di certo non saranno poche, emesse da ogni singola filiale, ma molto peggio: parliamo dei finanziamenti elargiti alle industrie più inquinanti del pianeta, come ad esempio le centrali elettriche a carbone. La peggiore di tutte, come detto, è la Chase che si stima abbia elargito 16 miliardi e mezzo di euro nelle industrie inquinanti. A seguire troviamo Citi e Bank of America con 13,7 e 12,5 miliardi di euro “gettati” nel mondo della CO2. A seguire i soliti nomi: Morgan Stanley, Barclays (la prima non americana), Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland, mentre l’Italia viene coinvolta dall’ottavo posto con la presenza di BNP Paribas che non è completamente italiana, ma lo è almeno in parte. L’unica banca completamente italiana presente in questa poco invidiabile classifica è Unicredit che si attesta al quindicesimo posto con 5,2 miliardi di euro elargiti ad imprese inquinanti. Ma in classifica non manca nessuno visto che ci sono anche banche francesi, cinesi e di altre parti del mondo. Purtroppo, secondo gli analisti, la situazione va sempre peggiorando. Dai loro calcoli risulta che, nonostante ci sia maggiore consapevolezza sul peso dei gas serra oggi, negli ultimi 5 anni i finanziamenti in quella direzione sono aumentati di quasi il doppio, e sono destinati ad aumentare ancora se i Governi non faranno qualcosa. Se tutti questi miliardi fossero elargiti alle industrie dell’energia pulita, sicuramente gran parte dei problemi ambientali verrebbero risolti e questi istituti ne guadagnerebbero in credibilità. Parliamone amici dell'ambiente, in ogni luogo ci siano disposte ad ascoltarci, battiamoci per questo pezzo di terra dove ci è capitato di vivere. Non avremo mai altro luogo per vivere.

Daniele V.

Inquinamento domestico

10:25 Posted In Edit This 0 Comments »

Il progresso ha i suoi vantaggi amici del GVA ma, come per tutto, c’è il risvolto della medaglia. Da un lato abbiamo il meglio della tecnologia in casa: dall'Hi-fi al Wi-fi, dal microonde al micro-cellulare, reti wireless… dall'altro viviamo in ambienti altamente inquinati da elettromagnetismo, vapori, aria avvelenata. A questo punto i casi sono due: o cambiamo vita o cerchiamo di salvare il salvabile. Qui opteremo per la seconda soluzione; quella più alla portata di noi comuni mortali. Si stima che l'aria che staziona in ambienti domestici e uffici sia fino a 10 volte più inquinata di quella che troviamo fuori. Questa continua esposizione all'inquinamento si traduce in disturbi più o meno gravi: si va dalla semplice allergia alla più seria asma, sino ad arrivare a tutta una lunga lista di patologie. Tra gli imputati, gli apparecchi elettrico-elettronici, i mobili, i detersivi, i materiali edili e i rivestimenti e, ahimè, anche i vestiti. Tra gli inquinanti presenti in case e uffici che minacciano la nostra salute ci sono: Formaldeide (presente in quasi tutti i prodotti che abbiamo in casa, dai mobili alla carta igienica); Benzene, Xylene e Tricloroetilene (vernici, monitor, tappezzeria, fotocopiatrici, fumo); Cloroformio (acqua potabile); Ammoniaca; Alcoli e Acetone (moquette, cosmetici). Dopo questa premessa e prima di gridare “sono spacciato !”, È bene sapere che alcuni coscienziosi scienziati della Nasa c’informano che possiamo limitare i danni circondandoci di piante d'appartamento “specializzate” in ecologia domestica. Sono almeno 50 le specie di piante che possono aiutarci. Tutte le piante purificano l'aria ma qualcuna è “specializzata” contro alcuni agenti e sarebbe buona cosa coltivarne in casa alcune amici del GVA, forse non ci salveranno la vita ma sicuramente ci faranno respirare aria migliore.

V.D.

Costi inquinamento

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Lo sapevate che l'inquinamento ha un costo per ognuno di noi? Si amici del GVA, e questo costo è ben noto alla comunità Europea. Ognuno di noi, ogni anno, dove pagare una “bustarella” da 300 euro. Una bustarella fatta smottamenti, alluvioni, malattie, temperature impazzite, una vita insalubre. Il calcolo di quanto ci costa l’inquinamento prodotto dalle diecimila aziende europee più inquinanti l’ha effettuato l’Agenzia Europea per l’Ambiente che ha calcolato tra 122 e 191 miliardi il costo delle loro emissioni nel solo 2010. Ciò che ci fa ancora più orrore è che circa la metà di questo peso già di per sé insostenibile proviene da appena 191 strutture, a cui verrebbe voglia di chiedere i danni. Il rapporto, intitolato “Rivelazione dei costi dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali in Europa”, è stato condotto dal team della professoressa Jacqueline McGlade che ha spiegato: "La nostra analisi rivela gli elevati costi causati da inquinamento da centrali termiche ed altri impianti industriali di grandi dimensioni. I costi stimati sono calcolati utilizzando emissioni indicate dagli stessi impianti (figuriamoci quelli reali). Utilizzando gli strumenti impiegati dai decisori politici per valutare danni alla salute e l’ambiente, ci ha rivelato alcuni dei costi nascosti di inquinamento. Non possiamo permetterci di ignorare questi problemi. Dunque ciò significa che anche se il costo già di per sé è alto, potrebbe anche rivelarsi maggiore se le aziende avessero mentito sulle loro reali emissioni. Le attività più inquinanti sono ben note: raffinerie, centrali elettriche, alcuni attività industriali ed agricole ed in generale tutte quelle aziende che prevedono processi di combustione. Inoltre sono stati tenuti fuori i costi dovuti al trasporto comune dei cittadini, che è stato dimostrato essere il settore più inquinante al mondo, e le emissioni domestiche. Insomma, quella mazzetta da 300 euro a testa che dovremmo all’ambiente sicuramente è più pesante, e dovrebbero pagarla prima di tutto i Paesi più inquinanti (Germania, Polonia, Francia, Gran Bretagna e Italia). Esiste una crisi ben peggiore di quella finanziaria in atto amici dell'ambiente, ma sembra che nessuno se ne accorga....ancora!

Daniele V.