Il Vallo di Diano

10:56 Posted In Edit This 0 Comments »
C'è un posto in questo bistrattato paese dove un manipolo di ecologisti si oppone al nostro progresso, gente invidiosa a cui il nostro benessere da fastidio. Questo posto (ancora una volta) sta al sud in provincia di Salerno, nel Vallo di Diano. Qui qualche mese la Shell ha chiesto di poter effettuare una trivellazione esplorativa; sembra che in quella zona ci sia petrolio. La Federpetroli è entusiasta. Gli imprenditori sono felici per le possibilità di affari che si apriranno. Ma come sempre c’è chi dice no: popolazioni e amministrazioni comunali del luogo. I soliti disfattisti nemici del progresso che dicono no a tutte le occasioni di sviluppo o che pretendono di averle ma tenendo gli effetti spiacevoli (inceneritori, aeroporti, ecc..) lontani dal cortile di casa. I soliti italiani. Ma che saranno mai un po’ di trivellazioni a 4 mila metri di profondità? Non favorirebbero il ricambio d'aria? Certo, ci sarebbe quello studio geologico che evidenzia che nell’area c’è una preziosa falda acquifera, che quasi certamente collasserebbe a causa delle trivellazioni. Le solite esagerazioni da geologici di provincia. Certo, il Vallo di Diano è un’area protetta, una delle 350 inserite nella rete delle Riserve della biosfera del Mab-Unesco. Fa parte del Parco nazionale del Cilento. Dal 1998 è considerato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Ma chi se ne importa, non sono forse quisquilie di fronte al progresso?  Pensate che qualcuno ha la sfaciataggine di asserire che il vero petrolio di quel territorio è quello che sta in superficie, sono i boschi, l’agricoltura biologica, le montagne, il paesaggio naturale e antropico frutto di una evoluzione plurimillenaria. Per molti, troppi, quel qualcuno è un fesso. Un perditempo che non ha niente di meglio da fare che lanciare cassandre. Però che bello essere fessi di tanto in tanto.

D.V.

Il tempo che verrà

11:05 Posted In Edit This 0 Comments »
Se venissero confermate le ipotesi calcolate da un gruppo di ricercatori americani, francesi, britannici ed ecuadoriani, pubblicate su Nature, quando i ghiacciai si scioglieranno definitivamente si potrebbero perdere dall’11 al 38% delle specie animali che vivono in quella zona. Molto spesso queste rischiano l’estinzione perché vivono solo in quelle aree, e scomparse quelle popolazioni non ce ne sarebbero altre “di riserva” altrove. Ciò che resta da capire è quando avverrà questo fenomeno. È sorprendente che malgrado la conservazione della biodiversità acquatica sia considerata una priorità l’effetto del ritiro dei ghiacciai sulla biodiversità dei corsi d’acqua sia stata fino ad ora trascurata afferma uno dei ricercatori. L’analisi è stata effettuata su diverse catene montuose, dalle Alpi alle Ande, fino all’Alaska. Tutte zone in cui si calcola che ci sarà la possibilità di perdere dal 30 al 50% dei ghiacciai, con una conseguente perdita dalle 9 alle 14 specie endemiche dell’area. Senza calcolare i danni agli esseri umani che nel migliore dei casi ci rimetterebbero il lavoro (il turismo sarebbe impossibile e lo sci solo un ricordo), ma nella maggior parte sarebbero costretti a traslocare in quanto verrebbe a mancare l’acqua che gli permette di vivere. Una catastrofe che, almeno per quanto riguarda gli animali, vedrebbe nell’Italia proprio una delle principali zone colpite.     Ci sono diversi casi di estinzione locale in Italia. Per esempio alcune specie di Diamesa (un insetto) che erano presenti sull’Appennino negli anni Settanta del secolo scorso, sono sparite insieme al ghiacciaio del Gran Sasso, quasi scomparso ha affermato Valeria Lencioni, conservatore della Sezione di Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia del Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, intervistata da Repubblica. La speranza, come spiega la dottoressa, è che queste specie possano spostarsi ed adattarsi in altri luoghi. Ma è chiaro che non tutte saranno in grado di farlo, e più rapidamente avverrà il fenomeno, tanto meno saranno le specie che riusciranno ad adattarsi. Che dire amici che non abbiamo ancora detto.........................

D.V.

Tecnologia pulita

10:44 Posted In Edit This 0 Comments »
Si lo sappiamo, non è una novità, ma almeno ora è tutto certificato nero su bianco. Se volessimo cercare i Paesi che utilizzano maggiormente le tecnologie pulite, dovremmo guardare a Nord. Non nel Nord Italia, ma nel Nord Europa. Secondo una ricerca congiunta del Cleantech Group e del WWF, è la Danimarca, seguita da Israele, Svezia e Finlandia, la nazione più green del mondo da questo punto di vista. La classifica, consultabile liberamente sul sito ufficiale, prende in considerazione l’apporto delle tecnologie pulite allo sviluppo industriale. Per questo motivo i Paesi asiatici, che si stanno sviluppando a tassi anche dieci volte superiori ad alcuni Paesi Occidentali, rimangono indietro in questa graduatoria, in quanto le tecnologie pulite spesso vengono utilizzate come seconda scelta. Per stabilire quali sono i Paesi più attenti a queste scelte, sono stati presi in considerazione 15 diversi indicatori, riassumibili nella creazione e commercializzazione delle tecnologie verdi, il potenziale di utilizzo rispetto alla dimensione economica di ogni singolo Stato, ed i piani a medio termine, cioè la commercializzazione a 10 anni. Il motivo per cui questi quattro Paesi si trovano al top è che le loro economie sono relativamente piccole rispetto magari a quelle di colossi come gli Stati Uniti o la Germania, e forse per questo le innovazioni tecnologiche risultano più presenti che in altri posti, ma in ogni caso va riconosciuto che queste nazioni sono sempre più avanti rispetto alle altre quando si tratta di queste novità. Questa la top 10: Danimarca, Israele, Svezia, Finlandia, Stati Uniti, Germania, Canada. Corea del Sud, Irlanda e Regno Unito. L’inquinantissima Cina dopotutto non fa male, attestandosi al tredicesimo posto davanti alla “rinnovabile” Olanda che però paga il basso sviluppo industriale, mentre tra i Paesi più industrializzati l’Italia è come sempre nelle ultime posizioni, per la precisione al ventisettesimo posto su 38, considerando che dopo di noi ci sono Paesi che non hanno nemmeno la metà della nostra capacità industriale come Sudafrica, Messico e alcuni Paesi dell’Est, con la Russia che chiude all’ultimo posto.

D.V.

Plastica vegetale?

10:40 Posted In Edit This 0 Comments »
Da anni il mondo scientifico cerca un sostituto del petrolio per la produzione di plastica, materiale tanto necessario nel mondo moderno quanto inquinante. Tra i vari tentativi ve ne segnaliamo uno molto interessante che proviene dall’Olanda. Più precisamente dall’Università di Utrecht, dove un gruppo di ricercatori ha scoperto come sia possibile produrre etilene, propilene e butadiene, la base della plastica, direttamente dalle piante.  Siamo partiti da molecole di ferro perché sappiamo che sono molto efficienti nel catalizzare la trasformazione dei gas in etilene, propilene e butadiene. Poi, per superare i problemi di instabilità di queste molecole, le abbiamo unite a nanoparticelle non reattive così da renderle molto più resistenti ha spiegato Krijn de Jong, a capo del progetto, sull’articolo comparso su Science. Utilizzando dunque nanofibre di carbonio, monossido di carbonio e idrogeno, i ricercatori sono riusciti a “tradurre” il 65% della miscela in quei tre composti che sono le “fondamenta” del materiale plastico. Il procedimento non è nuovo, ma è quasi un secolo che team di chimici ci provano a renderlo efficiente. Loro sono riusciti ad ottenere risultati migliori degli altri, con il tasso di efficienza più elevato mai ottenuto. Ancora però, ci tengono a sottolineare gli studiosi, ci vorrà tempo finché il processo venga migliorato, reso remunerativo e dunque arrivare a produrre la plastica che finisce nelle nostre case, ma almeno è il primo e, di solito, il più difficile passo. Inoltre, aspetto non da poco, questi materiali naturali sono in grado di biodegradarsi, ottenendo così un impatto nullo sull’ambiente. In questo modo, spiegano i ricercatori, c’è la speranza che il petrolio venga definitivamente soppiantato per far spazio a queste bioplastiche che sono uno dei principali campi di studio di molte università oggi, basta che però non si finisca con il deforestare intere aree verdi per ottenere la materia prima, altrimenti non ci avremo guadagnato un bel nulla amici dell'ambiente!

D.V.